Cos’è mai questo amore
del quale ci parla il Vangelo?
La spontanea reazione, per rispondere a questa domanda,
può essere il cercare la definizione di “amore”, tentando di
dire cos’è. Ma mentre ci apprestiamo a fare questo, notiamo
che l’esigenza attorno non è questa: nessuno oggi ha bisogno
della definizione di amore... Ma, più profondamente, ha bisogno
della stessa realtà di esso. Di definizioni di ciò che possa
essere chiamato amore, ne troviamo in abbondante quantità,
attor no a noi; cercare ora, anche noi, di dare una definizione,
significherebbe aggiungere alla quantità una nozione in più,
che può essere più o meno con divisa, che può essere apprezzata
o criticata... Ma essa avrebbe veramente a che vedere
con questa realtà che il Vangelo stesso ci presenta come il più
grande e il primo dei comandamenti? Sarebbe, in fin dei
conti, una nostra definizione, non la realtà del Vangelo. Si
ripropone allora, a questo punto, l’iniziale domanda: ma
cos’è mai questo amore del quale ci parla il Vangelo?
Amore è...
Per l’uomo di oggi, amore è una realtà variamente definita
e concepita in modo diverso, pur annunciata sempre
come “amore”:
– è quando dedico la mia vita all’altro, sia al singolo,
come all’umanità: amo l’altro, amo gli altri, quando do
la mia vita per loro, quando mi do ad essi;
– è quando so ricevere dall’altro, dagli altri, ciò che essi
mi danno: so ascoltare i loro bisogni, so essere attento
a ciò che esprimono;
– è quando sto con loro, condivido fino in fondo la vita,
nelle gioie e nei dolori;
– è quando faccio qualcosa di bene all’altro, e quando l’altro,
facendo del bene a me, mi dà l’occasione di amarlo;
– è quando ci comprendiamo e stiamo bene insieme;
– è quando sento il bisogno di dare e ricevere del bene...
Potremmo continuare all’infinito in queste definizioni
che, attorno a noi, spesso incontriamo nella vita; ma, è
proprio questo l’amore di cui parla il Vangelo?
Non lo sappiamo già noi, che amare può essere così,
senza il bisogno che lo dicesse Lui? Che ci porta in più
questo amore del Vangelo?
L’amore del Vangelo, Gesù non lo definisce. Perché?
Perché Gesù ci parla di amore, senza fare una defi -
nizione di esso?
Vuol dire forse che il suo amore può rientrare in una
delle nostre tante definizioni? Vuol dire forse che il suo
amore è impossibile da definire?
“Amerai...”, già; ma che cos’è questo amore? Noi tutti
oggi sapremmo dare una definizione di amore, di ciò che
esso è; Gesù, no. Non lo definisce; dice subito: “Amerai...”.
L’uomo di oggi sa cos’è l’amore, sì, certamente; ma
quell’amore della definizione, quella che anche noi eravamo
all’inizio tentati di dare, come un’altra concezione in
più, accanto alle tante già esistenti. L’uomo di oggi segue,
nella vita, la concezione che egli ha dell’amore, secondo
quella che gli sembra la più vicina alla sua realtà e situazione
di vita:
– per il prete, l’amore è dare la vita per la causa della fede;
– per lo sposato, amore è la famiglia;
– per la mamma, amore è il figlio;
– per il lavoratore, amore è la giustizia e la libertà;
– per il giovane, amore è fare l’amore;
– per il bambino, amore è ricevere;
– per l’anziano, amore è essere amato;
– per l’uomo, amore è la donna;
– per la donna, è l’uomo;
– per chi non è maturo come donna o uomo, può essere
chiunque;
– per il mondo degli affari, amore è una merce...
L’uomo di oggi ama certamente, secondo però una o
più di quelle idee di amore che gli si confanno, in base alla
situazione di vita nella quale si trova. Tutti, in effetti,
amano; ma, per tutti, sempre più, l’amore sta divenendo
una realtà fatta sulla mia misura, una realtà legata alla persona,
diversa da uno all’altro; e allora, si può veramente
ritrovare, in tutti questi modi di amare diversi che derivano
da diverse definizioni, quel “primo e più grande” dei
comandamenti dell’umanità, che secondo il Vangelo sta
alla radice della vita? L’uomo di oggi ama, ma senza avere
più il punto di riferimento nell’amore.
La sua definizione di amore non viene come una proposta
fuori da se stesso, come nel caso dell’a more proposto
da Gesù; no, oggi, non è così: l’uomo fa partire da sé,
in base a ciò che sta vivendo, una idea di amore che gli
giustifichi l’esistenza e gli possa dare un significato,
anche dove le cose si stanno mettendo male. Questo tentativo
non è certo male; ma spesso nasconde, dietro l’ideale
dell’amore, ciò che interessa veramente all’uomo: se stesso,
non solo nel senso positivo, degli interessi da portare
avanti (ideali), ma anche nel senso negativo, degli interessi
ai quali egli si attacca sempre più strettamente (egoismo).
Ed ecco allora che, dietro la facciata dell’amore, si svelano,
se osserviamo in profondità, gli interessi umani più
meschini: dietro la parola amore, il commercio propaga i
suoi interessi; dietro il discorso di amore, sta il mio tentativo
di dominare l’altro che dico di amare; dietro “amore”
per il giovane c’è solo il piacere e il voler godere; dietro la
parola del l’amore, anche per il prete si può celare la
giustificazione per fare tutto ciò che vuole; facendo preva -
lere, in tutti i casi, non la proposta dell’“amore” stesso, ma
di quell’amore che sono io stesso, egoi sta e profittatore,
che copro i miei misfatti e il mio agire con i guanti, usando
l’amore quale veste esterna che mi rende possibile fare
tutto ciò.
L’amore non è...
A questo punto, oltre a renderci conto che non è possibile,
oltre che essere inutile, dare una definizione dell’amore,
possiamo renderci conto di ciò che l’amore NON è: me
stesso. L’amore, in nessun caso, può essere una realtà riducibile
a me, alla persona, anche quando le cose appaiono le
più belle e le più profonde... No, per ché non è ancora quella
realtà del Vangelo; e Gesù stesso, non definendola, ci fa
capire che il suo amore, quello che Egli propone:
“Amerai...” è una realtà inconcepibile. L’amore ha la caratteristica
di essere una realtà inconcepibile, per Gesù: ecco
per ché ogni definizione di esso non lo esaurisce e non lo
illustra: l’amore non si può concepirlo, renderlo con una
idea, con una definizione, perché esso c’è già, fuori di noi.
L’amore non è una realtà proveniente da noi, tanto
meno dalle nostre concezioni: è INCONCEPIBILE, perché
esiste già. Gesù lo presuppone, lo pone già come il
presente, questo amore; ecco perché non ne presenta la
definizione. Non si può definire ciò che è inconcepibile,
per ché esso è infinito; non definito, ma sempre inde -
finibile. L’amore del Vangelo non corrisponde a nessuna
delle realtà che io mi costruisco partendo da me, alle quali
attribuisco la parola: amore. Non è in mano mia questo
amore di cui parla il Vangelo; è una realtà che si pro-pone,
si pone di fronte a me e per me, perché cioè la mia vita
riceva senso dalla sua presenza, non perché da realtà per
me divenga una realtà mia.
Ogni amore che scopro come il “mio” non corri sponde
a quello del Vangelo. Ogni realtà che chiamo anche amore,
ma che scopro mia e gestita da me, non è altro che egoismo,
anche se amassi fino a dare la vita... “Se non ho
l’Amore, nulla mi giova...”. Se dunque, l’Amore del quale
parla Gesù, lo vivo come una realtà di amore mio, nulla mi
giova: non è Amore.
La tentazione di amare l’amore...
Ecco apparire, in sottofondo, la grande tentazione che
anche di fronte alle parole annunciate da Gesù, prevale nel
cristiano e nell’ascoltatore del primo dei comandamenti:
amare quell’amore, secondo le nostre idee, attese e interessi.
La tentazione di riportare il Vangelo a noi, di rivi -
verlo a partire da ciò che siamo: da preti, da padre, da
lavoratore, da... E non lasciare che sia il Vangelo stesso ad
amarci: sentirsi amati. Sentiamo le parole del Vangelo
ancora come delle occasioni per poter costruire, noi, la
nostra vita, utilizzando esse; non pensiamo ancora al fatto
che l’amore si propone da fuori, perché il nostro modo di
amare si renda grande e eterno. Amare l’Amore annunciato
da Gesù con il nostro metro, diventa proprio come
l’amore con il quale il mondo degli affari ama gli uomini:
come una merce, un oggetto per i propri scopi. Se io ora,
attraverso queste mie parole, tentassi, anche nel modo più
appassionato ed affascinante possibile, di trasmettere il
concetto che io ho dell’a more del Vangelo, non farei che
tradire le parole dette da Gesù, non otterrei altro che il
fatto di ridurre il messaggio dell’amore di Gesù ai miei
scopi: a me stesso.
Devo, invece, mettermi nella disponibilità, attraverso
anche le mie parole, a trasmettere ciò che proprio le parole
non riusciranno mai a definire: la realtà dell’amore del
Vangelo. L’inadeguatezza delle stesse mie parole, allora,
sarà il modo più fedele per accostare me stesso e l’altro
alla realtà che il Vangelo mi propone: l’amore. Anche il
Vangelo stesso perderebbe la sua stessa efficacia, se io mi
limitassi a considerare quelle parole come un principio,
come un bel discorso... Il Vangelo sarebbe un bel libro di
saggezza, ma nulla più; invece, al di là delle parole, il cristiano
sa di scoprire, proprio attraverso parole più o meno
per fette ed esatte, ciò che veramente conta: Lui, che è La
Parola, il Vangelo stesso: Gesù. La Parola di Dio non è
uno scritto, ma Gesù stesso. Se per noi è uno scritto, vuol
dire che ancora non abbiamo scoperto Gesù. Gesù è la
Parola, è il Vangelo. È questione, per noi, di eliminare una
piccola cosa: l’accento, e tutto parrebbe più vicino a noi:
dire Gesù e la Parola, Gesù e il Vangelo... Ma Dio ci chiede
di porre questo piccolo segno, che renderà tutto significativo.
Gesù è il Vangelo.
Togliendo l’accento, cioè considerando diverso Gesù
dal Vangelo, le parole non divengono più mezzo e strumento
per arrivare a Lui, ma solo a noi stessi.
Allora, a questo punto, le parole, invece di aiutarci a
incontrare Gesù, ci potranno condurre solo al distanziarsi
sempre più da Lui, perché vedremo che “le sue vie non
sono le nostre vie”, che cioè le nostre parole e i modi di
ragionare e discorrere con esse non trova no riscontro in
altra realtà che in noi stessi... E intanto, Dio ci sfugge,
sempre più, proprio mentre magari stiamo parlando di Lui.
Sì, perché parliamo di Lui evidenziando noi stessi, le
nostre parole, e non invece lasciando spazio a Lui, che è la
Parola. Io, come prete, potrei anche giungere a parlare di
Dio stesso, per ore e ore, e con argomenti i più con vincenti
e sicuri, ma nello stesso tempo oscurare, mentre la definisco,
la possibilità della sua presenza; mentre definisco il
concetto di Dio, non farei altro che impedirne la esperienza.
Sì, perché Dio è INCONCEPIBILE, indefinibile... e
solo così lo posso incontrare: non come colui che io creo o
delimito, ma come Colui che si dà come l’inconcepibile.
E nel momento in cui si dona, rimane pur sempre l’indefinibile,
Colui che si sottrae a me e quindi ad ogni mia
definizione. L’Amore, nel momento in cui si dona, si sottrae
anche ad ogni mio possesso; solo così rimane tale,
altrimenti io ho solo l’amore, il mio: me stesso.
Il mercato dell’amore...
Nessuno può portare di fronte a noi la realtà dell’a more
come una situazione da vendere, da offrire. L’amore non
si chiude né può essere chiuso nelle situazioni di nessuno,
nemmeno della Chiesa stessa; essa infatti è stata scelta e
prediletta non come la sede di questo amore, ma la realtà
che è destinata a trasmetterlo, trasmetterlo!. Con la fedeltà
che non consiste nella propria perfezione quanto nel
dono di Dio a comunicare la realtà di se Stesso.
Perfetta nell’amore, la Chiesa: certo, perché l’amo re
non è una realtà sua... E quando mai la potrebbe vivere, se
così fosse, in un modo perfetto? Mai! Mai potremmo parlare
di perfezione nell’amore, se intendiamo la situazione
dell’amore una realtà gestita dalla Chiesa.
Perfetta nell’Amore, la Chiesa, sì! Perché essa tra -
smette una realtà non sua, ma che in essa si rispecchia:
Dio stesso, che è la perfezione. Quando la Chiesa trasmette
Dio, essa è veramente perfetta nell’Amore, anche se trasmette
con le pecche e le imperfezioni che le sono proprie
nel suo cammino di realtà umana.
Nessuno può dire di produrre amore, perché l’Amore
non è un prodotto, ma è l’“INCREATO”; nessuno ne può
essere il depositario, il creatore: l’a more si trasmette,
attraverso di noi, attraverso la disponibilità della Chiesa
ad essere segno di Amore.
L’Amore passa, non si fissa nella Chiesa. L’Amore
appare e si nasconde nel segno della Chiesa.
La Chiesa è chiamata a farlo apparire, non tanto spiegando
cos’è, ma soprattutto vivendo di esso; se la Chiesa
spiegasse cos’è l’amore, finirebbe soltanto per nasconderlo
nella sua vera realtà; infatti, l’Amore non è spiegabile
se non attraverso la vita.
La Chiesa è chiamata a tenerlo nascosto, a viverlo cioè
come un mistero, perché si possa dire vera mente Amore;
altrimenti, se non fosse così, si ridurrebbe a un amore da
mercato, da vendere o comprare a seconda dell’uso e della
necessità: un pro dotto, fatto e finito.
Mentre la Chiesa parla dell’Amore, deve aiutarmi a
capire che esso non si può mai capire solo parlandone;
proprio attraverso il comprendere la relatività dei discorsi
e dei ragionamenti per capire la realtà dell’Amore, Esso si
incontrerà con noi come una esperienza significativa per
la vita. Altrimenti, è un parlare vano, vuoto e insensato.
Non è forse spesso così... quando succede che, dopo aver
parlato di amore in lungo e in largo, attraverso anche
discussioni e riflessioni e momenti di preghiera, omelie e
spiegazioni d’ogni rango, il cri stiano non sa nella vita cosa
significhi SPERIMENTARE questa realtà? Di fronte alla
vita, concreta mente, l’Amore cosa cambia, cos’è? C’È?
Dopo il discorso... nella vita... C’È?
O si è solo fatto del buon mercato, della buona Omelia,
della buona filosofia, del buon argomentare di Esso, ma
poi tutto è restato una situazione finita... nel vuoto? Già,
un prodotto consumato...?
Fregarsene di tutti...?
Fregarsene di tutti i concetti... Questa è la via del -
l’amore? In un certo senso, sì.
Certamente; perché la realtà dell’amore non è più questione,
per il messaggio del Vangelo, di un concetto o una
definizione, ma le sorpassa tutte quante, entrando nella
dimensione più vicina a noi, quella del “cuore”, cioè della
vita. Guai se mi attaccassi a un concetto, a una idea di
amore! L’avrei già ucciso! L’amore mi sfugge sempre... E
proprio per questo lo cerco...
Se l’amore ce l’ho già, se dico di avere raggiunto
l’amore, esso non è che un’illusione, e quindi una delusione,
perché di fronte alla vita si sfascia e si sgretola.
Mai aggrapparsi all’amore! Lo renderei mio, cioè sulla
mia misura di essere finito, che si chiude; e così chiuderei
anche me stesso all'amore; Esso rimarrebbe, tutto quanto
sì, ma FUORI di me.
In questo senso, fregarsene di tutto quanto si possa pensare
e dire dell’Amore, cioè relativizzare tutto, diventa la
via per scoprire presente nella vita questa realtà.
Sono le parole di quel santo che esprimeva tale atteg -
giamento in questo modo: “Ama e fa’ ciò che vuoi”.
Ama, e fregatene... potremmo dirla banalmente; e proprio
quando te ne freghi, scopri meglio la realtà dell’amore più
vicino... Ma, non attaccar ti! Fregatene, dell’idea che ti si
può creare di Esso... E così sentirai e gusterai ancor più da
vicino questa vicinanza... Ma non attaccarti, neppure ora,
no... Fregatene, relativizza anche queste impressioni e non
renderle mai delle definizioni... Uccideresti in te l’efficacia
dell’amore... ... E continua così... Fino a quando? -
viene da dire. Sempre, così, perché l’Amore non si può
mai esaurire, né scoprire, né definire... Sarà la sua stessa
presenza a mostrarti se esiste la mossa finale, o se dovrai
continuare sempre così... Intanto, sì, devi continuare... Se
ti fermi, l’Amore viene ucciso in te.
Le parole, i segni, la Chiesa, i ragionamenti...
Fregarsene di tutti? Relativizzare sempre?
Certo!
Mai devi contare su di loro; mai devi dire: me lo dice
la tal parola, il tal segno, me lo dice la Chiesa, me lo dice
il ragionamento cos’è l’Amore... NO! Nessuno ti può dire,
al di fuori di te stesso, ciò che è l’Amore, perché Esso è
talmente vicino e amante di te da non restare FUORI, ma
da presentarsi dentro la tua stessa vita. Già, essa, proprio
tu, sei il luogo della nascita o della morte della efficacia
dell’amore, dell’Amore stesso. Ogni altra realtà è destinata
ad essere un aiuto a rientrare in te per riscoprire, nel
profondo, la presenza dell’Amore.
Fregarsene anche di Dio?...
Fregarsene di sé, di me stesso, si può in un certo senso
anche comprendere, come la presa di coscienza che noi
non siamo né mai potremo esse re la sede della verità e
della realtà... Ma che fine fa Dio, in queste considerazioni?
Anche Lui, destinato ad essere relativizzato? SÌ,
ANCHE LUI, PRIMA DI OGNI ALTRA COSA; è proprio
Lui la realtà da relativizzare, nella nostra vita di fede, con
la priorità assoluta, rispetto alle altre cose; esse, infatti,
sono da noi considerate meno importanti, rispetto a Lui, e
quindi anche nelle decisioni e nelle scelte di vita, le teniamo
in poco conto, non giungono ad influire con intensità
e profondità nella vita, come invece può essere il fatto di
vedere e considerare Dio in un certo modo o in un altro...
Ma noi, non possiamo considerarlo, mai, Dio, IN NESSUN
MODO! Quindi, ecco che Dio è colui che va con più
urgenza relativizzato, per poter sentire e gustare l’a more
del Vangelo.
Altrimenti, avremo solo oggetti e prodotti per le nostre
discussioni, da esibire e da vendere come buoni istruttori
della catechesi, come buoni predicatori delle cose della
fede, come buoni propagatori della religione cristiana...
Ma non avremo mai a che fare con quell’AMORE del
quale ci parla Gesù, l’amore del Vangelo. Nessun Dio si
può fissare nella nostra vita, NESSU NO!
Nemmeno il più buono, nemmeno il più potente, né
quello vero, né quello che dicono i preti, né quello che
dice una religione, e nemmeno, infine, quello che dico io,
cioè il MIO. No... Perché in tutti questi casi non si tratta di
amore, ma di egoismo, di realtà umane che dietro l’immagine
presentata non hanno altro che se stesse.
L’amore, allora, dov’è? È finito, legato cioè a queste
realtà che vengono dalla finitezza e dal limite umano.
“Non avrai altro Dio all’infuori di me...”. Chi pronuncia
queste parole, come invito a scardinar ci, a fregarcene
di ogni altro dio, se non colui che parla?
Già, chi è colui che parla?
Non è certo il mio Dio, quello che penso io e ho a mia
immagine; né quello della religione, no; nemmeno quello
della Chiesa, no; non è nessuno degli dèi, anche se li chiamo
DIO. E allora, chi parla?