Amerai il prossimo:
il Signore Tuo Dio, come te stesso:
con tutto il cuore,
con tutta la tua anima
e con tutta la tua mente
Nell’amore, il prossimo è il segno di Dio.
Potremmo dire che, nell’amore, il prossimo è il mio
Signore, nel senso che io sono chiamato a servirlo, ad accoglierlo,
a riceverlo come un mio signore, come Dio stesso.
Se ora Dio venisse da me, lo accoglierei nel modo più
degno possibile, certamente. Ora, così sono invitato a fare
con il mio prossimo, perché io scopra la realtà dell’amore.
Amare il prossimo così, essere “servi” del prossimo, che
io sono chiamato a considerare il “mio Signore”, non è
affatto una realtà che mi svuota e mi rende meno persona.
Affatto.
Come d’altronde, essere i servi di Dio nostro Signore
non significa affatto essere schiavi e perde re nella nostra
realtà di persona, di uomini. Se considero e mi atteggio
verso il prossimo con questo atteggiamento, che Paolo
descriveva come un “gareggiare nello stimarsi a vicenda”,
riscopro come “Signore” anche me stesso.
Sì, attraverso il prossimo che servo, io riscopro e rivivo
con più intensità anche il mio essere “Signore”.
“Tu l’hai posto Signore al creato...” dice il salmo, circa
la dignità dell’uomo.
Questa dignità dell’essere Signore, del vivere così, si
scopre e si vive proprio SERVENDO, amando il prossimo
come il “mio Signore”, con la piena disponibilità del
cuore, dell’anima e della mente a lui. Solo così, attraverso
il prossimo, considerato da me il “mio Signore”, potrà
veramente rivelarsi a me quel Prossimo più prossimo di
ogni prossimo che è Dio stesso, IL SIGNORE, pienamente
Signore per ché ha vissuto pienamente la situazione di
servo, considerando ogni altro “il suo Signore”.
Il prossimo è per me “il Signore”
che mi rende presente “Il Signore”
Com’è possibile? Con l’amore.
Se amare con amore me stesso significa aprire il mio
“io” alla totale disponibilità, infinita, del cuore e dell’anima,
della mente, a maggior ragione, amare il prossimo
significa aprirmi, attraverso di lui, al Prossimo, che mi si
rivela e si dà a me nella vita come tale, attraverso l’amore
stesso: DIO. E anche qui, per chiarezza, poniamo l’appunto
della profonda ambiguità di sempre: amare il prossimo
come il mio Signore, e fermarci qui, rendendolo lui il mio
dio, idolatrandolo (amore umano); oppure, amare lui come
occasione per l’apertura e il riconoscimento di Dio come
il Signore. Solo la scelta dell’amore che Gesù propone può
farci fare il passaggio; altrimenti, è un amore profondamente
e pericolosamente ambiguo.
Dio... Il prossimo... Io...
È il passaggio dell’amore, dalla sorgente, dall’esse re
dono di Lui, fino alla nostra stessa vita. L’amore giunge a
noi dall’iniziativa di Dio stesso, che conduce il suo dono,
l’amore, attraverso un altro dono: il prossimo, perché poi,
in me, l’amore sia veramente e pienamente riscoperto
come dono. L’amore, che ha la sua origine in Dio, nell’increato,
appare rivestito della stessa Sua caratteristica; e
proprio per questo è impossibile, nella nostra mente, generarlo
come un’idea. L’amore, proveniente dall’increato
Dio, ha anch’esso la caratteristica dell’essere “non
origina to”, non creato.
L’amore parte dalla proposta di Dio, e si propone a noi
attraverso il prossimo.
Io... Il prossimo... Dio...
È la risposta alla proposta di amore di Dio, che ha come
passaggio il mio “io”, che, attraverso il segno dell’altro,
diviene un sì che si apre a colui che mi propone l’amore:
a Dio. L’amore è anche, poi, risposta personale mia, che io
sono chiamato a rendere efficace e vivo nella mia persona,
offrendo, con la mia totale disponibilità, la possibilità che
questo amore viva e non resti proposta non accolta.
L’amore è, come Dio, il “generato ma non creato” attraverso
la risposta di quel “Figlio” che oggi siamo noi, ciascuno.
Il cristiano, come Gesù, accoglie l’increato amore
in sé e poi lo genera nella propria risposta di vita.
L’amore, così, diviene il “generato” e nello stesso
tempo rimane il “non creato”, proprio come la risposta di
Gesù, il Figlio di Dio, che nella sua vita rende presente
Dio agli uomini come il “generato e il non creato”.
Alla proposta dell’amore, io rispondo ponendo in me
stesso la possibilità che questo amore di Dio “si faccia
carne”.
Il passaggio dell’amore da Dio a me, rende possi bile a
questa realtà di amore di non essere lontana e astratta: essa
viene resa vita e presente come dono di Dio che giunge
fino in fondo, in tutto il cuore e in tutta l’anima, in tutta la
mente... in tutta la mia vita.
Il passaggio da me a Dio, nella risposta d’amore, rende
possibile il superamento della tentazione di chiudere a me
il dono, e gli dà la possibilità di essere sempre più aperto
all’infinito, al “sempre più aperto”, che è appunto la sua
caratteristica fondamentale.
Bloccare e fissare la realtà dell’amore a Dio, al prossimo
o a me, è da sempre la grande e diffusa tentazione.
Se questa si attua, in ognuno dei casi, avviene che
l’amore muore, perde di efficacia non in sé, ma in colui che
è caduto nella tentazione presentata. L’amore, per essere
veramente tale, dev’essere vis suto come “Pasqua”: un
passaggio; altrimenti, anche riferito a Dio, rimane sempre
una realtà della morte.
L’amore reca con sé il dono della Pasqua verso la vita.
Ogni Pasqua, allora, è opera dell’amore.