AMERAI...

 

Amerai il prossimo:

il Signore Tuo Dio, come te stesso:

con tutto il cuore,

con tutta la tua anima

e con tutta la tua mente

Nell’amore, il prossimo è il segno di Dio.

Potremmo dire che, nell’amore, il prossimo è il mio

Signore, nel senso che io sono chiamato a servirlo, ad accoglierlo,

a riceverlo come un mio signore, come Dio stesso.

Se ora Dio venisse da me, lo accoglierei nel modo più

degno possibile, certamente. Ora, così sono invitato a fare

con il mio prossimo, perché io scopra la realtà dell’amore.

Amare il prossimo così, essere “servi” del prossimo, che

io sono chiamato a considerare il “mio Signore”, non è

affatto una realtà che mi svuota e mi rende meno persona.

Affatto.

Come d’altronde, essere i servi di Dio nostro Signore

non significa affatto essere schiavi e perde re nella nostra

realtà di persona, di uomini. Se considero e mi atteggio

verso il prossimo con questo atteggiamento, che Paolo

descriveva come un “gareggiare nello stimarsi a vicenda”,

riscopro come “Signore” anche me stesso.

Sì, attraverso il prossimo che servo, io riscopro e rivivo

con più intensità anche il mio essere “Signore”.

“Tu l’hai posto Signore al creato...” dice il salmo, circa

la dignità dell’uomo.

Questa dignità dell’essere Signore, del vivere così, si

scopre e si vive proprio SERVENDO, amando il prossimo

come il “mio Signore”, con la piena disponibilità del

cuore, dell’anima e della mente a lui. Solo così, attraverso

il prossimo, considerato da me il “mio Signore”, potrà

veramente rivelarsi a me quel Prossimo più prossimo di

ogni prossimo che è Dio stesso, IL SIGNORE, pienamente

Signore per ché ha vissuto pienamente la situazione di

servo, considerando ogni altro “il suo Signore”.

Il prossimo è per me “il Signore”

che mi rende presente “Il Signore”

Com’è possibile? Con l’amore.

Se amare con amore me stesso significa aprire il mio

“io” alla totale disponibilità, infinita, del cuore e dell’anima,

della mente, a maggior ragione, amare il prossimo

significa aprirmi, attraverso di lui, al Prossimo, che mi si

rivela e si dà a me nella vita come tale, attraverso l’amore

stesso: DIO. E anche qui, per chiarezza, poniamo l’appunto

della profonda ambiguità di sempre: amare il prossimo

come il mio Signore, e fermarci qui, rendendolo lui il mio

dio, idolatrandolo (amore umano); oppure, amare lui come

occasione per l’apertura e il riconoscimento di Dio come

il Signore. Solo la scelta dell’amore che Gesù propone può

farci fare il passaggio; altrimenti, è un amore profondamente

e pericolosamente ambiguo.

Dio... Il prossimo... Io...

È il passaggio dell’amore, dalla sorgente, dall’esse re

dono di Lui, fino alla nostra stessa vita. L’amore giunge a

noi dall’iniziativa di Dio stesso, che conduce il suo dono,

l’amore, attraverso un altro dono: il prossimo, perché poi,

in me, l’amore sia veramente e pienamente riscoperto

come dono. L’amore, che ha la sua origine in Dio, nell’increato,

appare rivestito della stessa Sua caratteristica; e

proprio per questo è impossibile, nella nostra mente, generarlo

come un’idea. L’amore, proveniente dall’increato

Dio, ha anch’esso la caratteristica dell’essere “non

origina to”, non creato.

L’amore parte dalla proposta di Dio, e si propone a noi

attraverso il prossimo.

Io... Il prossimo... Dio...

È la risposta alla proposta di amore di Dio, che ha come

passaggio il mio “io”, che, attraverso il segno dell’altro,

diviene un sì che si apre a colui che mi propone l’amore:

a Dio. L’amore è anche, poi, risposta personale mia, che io

sono chiamato a rendere efficace e vivo nella mia persona,

offrendo, con la mia totale disponibilità, la possibilità che

questo amore viva e non resti proposta non accolta.

L’amore è, come Dio, il “generato ma non creato” attraverso

la risposta di quel “Figlio” che oggi siamo noi, ciascuno.

Il cristiano, come Gesù, accoglie l’increato amore

in sé e poi lo genera nella propria risposta di vita.

L’amore, così, diviene il “generato” e nello stesso

tempo rimane il “non creato”, proprio come la risposta di

Gesù, il Figlio di Dio, che nella sua vita rende presente

Dio agli uomini come il “generato e il non creato”.

Alla proposta dell’amore, io rispondo ponendo in me

stesso la possibilità che questo amore di Dio “si faccia

carne”.

Il passaggio dell’amore da Dio a me, rende possi bile a

questa realtà di amore di non essere lontana e astratta: essa

viene resa vita e presente come dono di Dio che giunge

fino in fondo, in tutto il cuore e in tutta l’anima, in tutta la

mente... in tutta la mia vita.

Il passaggio da me a Dio, nella risposta d’amore, rende

possibile il superamento della tentazione di chiudere a me

il dono, e gli dà la possibilità di essere sempre più aperto

all’infinito, al “sempre più aperto”, che è appunto la sua

caratteristica fondamentale.

Bloccare e fissare la realtà dell’amore a Dio, al prossimo

o a me, è da sempre la grande e diffusa tentazione.

Se questa si attua, in ognuno dei casi, avviene che

l’amore muore, perde di efficacia non in sé, ma in colui che

è caduto nella tentazione presentata. L’amore, per essere

veramente tale, dev’essere vis suto come “Pasqua”: un

passaggio; altrimenti, anche riferito a Dio, rimane sempre

una realtà della morte.

L’amore reca con sé il dono della Pasqua verso la vita.

Ogni Pasqua, allora, è opera dell’amore.