AMORE E PROFEZIA


Leggi, oggi, ormai dimenticate, perché manca la realtà

che ad esse dona senso: l’amore. Chi oggi non le rispetta

e non le applica nella vita, non fa altro che, spesso, vivere

con coerenza: se la legge non promuove nulla, perché

dovrei obbedirla?.

Questo non significa esaltare la trasgressione, ma

richiamare a colui che pone la legge, o che la vive, il fatto

che occorre con urgenza recuperare non altre leggi, ma ciò

che sta alla base di tutto, il senso della legge stessa: l’amore.

Se diamo per vero che colui che trasgredisce la legge

non ama, possiamo altrettanto dire che colui che la osserva,

la ama? Non è forse sempre più vero che, anche da

parte di colui che ne è l’osservante, manca sempre più

spesso l’anima della legge, quell’amore che la rende

CREDIBILE, AFFASCINANTE, DESIDERABILE?

Osservare la Legge... è un essere schiavi di essa, nell’abitudine

di una osservanza ormai scontata e poco significativa?

Osservarla, non ci richiama forse a qualcosa di più profondo,

al fatto per cui vale la pena osservarla? Osservarla,

sì... ma recuperando il vero significato del “servo” che osserva

la legge: per amore.

Non è l’esserne anche i più stretti osservanti, ma da

schiavi, ma da quei servi che Gesù definisce “non più

servi, ma amici”, perché ne vivono il senso e il fondamento

nell’amore.

Osservarla, sì, ma non con gli occhi della carne, che

accecano; con quelli della fede, che illuminano.

Amore e Profezia

La realtà dell’amore non può restare muta, ma diventa

parola e segno nell’esperienza del profeta, di colui che

agisce e parla con amore.

La Legge stessa, è destinata, nell’amore, ad essere

legge profetica, che è segno e parola di realtà più grandi;

senza l’amore, anche la miglior legge resterebbe muta,

non direbbe altro che il non senso.

L’amore suscita la forza in sé, perché dona a chi sperimenta

questa realtà il significato e il senso; ma, nello stesso

tempo, esso suscita segni e parole: ecco la profezia. La

profezia è il modo con il quale l’amore si mani festa come

aperto e infinito; essa, è la garanzia che l’amore vive. Il

profeta, attraverso l’esperienza che l’amore suscita nella

sua vita, trasmette una realtà infinita e che passa tramite

lui; senza questa esperienza di amore, il profeta parla a

nome solo suo, e rimane un isolato e un illuso. Il cristiano

non può non essere profeta.

Egli sussiste solo nella rottura della dimensione di ogni

amore che tenda a chiudersi o ad essere considerato in una

maniera particolare; il cristiano è destinato a porre questa

rottura, non in nome di se stesso, ma perché quell’infinita

esperienza di amore gli urge dentro e lo porta a propagare

questa urgenza attorno, senza mai permettere che si ponga

un limite... Perché l’amore ha la caratteristica di essere

una realtà infinita.

“L’amore di Cristo ci spinge”, dice lo slogan di

un’opera di amore. Il profeta, il cristiano di oggi, è colui

che comunica questa spinta che è la forza dell’amore.

Una forza che appare nella debolezza. E proprio per

questo appare più chiaramente che questa realtà non è

opera dell’uomo, ma di Dio, a nome del quale si parla e si

agisce, per il quale si è “profeti”.

La profezia è il segno che annuncia l’arrivo dell’a more.

Il profeta è il pre-cursore, il pre-annunciatore del -

l’amore. La profezia pone in prima linea colui che la

vive... Con il rischio più intenso, ma anche con le gioie più

appaganti. Essere cristiani profeti, oggi, ci porta a una

testimonianza più sofferta e coinvolgente che mai; ma,

nello stesso tempo, la testimonianza viene anche ripagata

dalla presenza di un amore più profondo ed efficace.

L’amore del Vangelo suscita queste testimonianze profetiche,

non solo dove secondo noi ce n’è bisogno, come

ad esempio verso le terre di missione, ma soprattutto,

oggi, in quella terra sempre più assetata dell’esperienza

dell’amore, che si crede ormai finito e si da per scontato...

In quella terra sempre più deserta che è il cuore dell’uomo

di oggi. L’amore di Cristo spinge noi, ciascuno, partendo

da dentro il nostro cuore.

L’amore è aprirsi e chiudersi, in un movimento

simile a quello del cuore: sistole e diastole... Un raccogliersi

su di sé, in se stessi, per riscoprire la propria identità

di persona come essere aperto a... realtà grandi, più grandi

del proprio “io”; è scopri re questa apertura di noi stessi verso

la realtà del l’amore. Non è solo APRIRSI, l’atteggiamento

dell’amore; sarebbe il sottolineare una direzione senza evidenziarne

il direttore, il motivo che fa dirigere tutto quanto.

Aprirsi necessita di un altro atteggiamento, che implichi

il fatto di rendersi conto, del prendere profondamente

coscienza di ciò che deve essere e di come deve essere vissuta

l’apertura a... Aprirsi, in se stesso, visto come un

atteggiamento autonomo, rischia di essere parziale e di

non far gustare, nella profondità, ciò che è il motivo dell’apertura:

l’amore.

Aprirsi, da solo, non ci porta a gustare e sentire la realtà

dell’amore in un modo completo e totalmente significativo.

Per questo, è importante anche il CHIUDERSI, inte -

so come il ritrovare se stessi, la propria coscienza, che

fonda l’atto dell’apertura, espressione della presa di

coscienza. Chiudersi per recuperare l’intensità e la profondità

della scelta, per preparare nel modo più efficace possibile

e fecondo l’atteggiamento di aprirsi.

Proprio come nel caso del cuore, che raccoglie in sé le

potenzialità perché possano essere diffuse poi con efficacia,

per la vita del corpo.

L’amore appare nel movimento, nella crescita, non

nella fissità e in un atteggiamento cristallizzato. Aprirsi e

chiudersi dell’amore richiama, negli atteggiamenti nostri,

l’impegno a rendere vitale ogni atto di vita, a renderlo nel

pieno senso, una ATTIVITÀ, un atto di vita.

Chiudere il cuore, non per porre un limite, ma per ricevere

la spinta ad una apertura; è la ricerca del fondamento

per costruire, l’andare fino in fondo per poter più efficacemente

risalire, con una spinta.

Un chiudere e un aprirsi che è la sua conseguenza, proprio

come quel movimento di vita del cuore. Chiudere la

mente, cioè raccogliere la mente su di sé, raccoglierci, per

poter più efficacemente e profondamente entrare in rapporto

con ciò che vi è fuori di me.

Fondare, nella mia mente, le direttive, i progetti, i programmi,

perché possano esprimersi nell’apertura di una

mente serena ed equilibrata. Chiudere l’anima, cioè vivere

il senso della vita, rendersi conto di chi si è, profondamente,

guar dandosi, osservandosi a quello specchio di

verità che è la nostra anima; per poter vivere, poi, l’aper -

tura dei nostri atteggiamenti di vita, secondo ciò che l’anima

stessa ci suggerisce.

Rimane il pericolo, accanto alle grandi possibilità di

questa sistole e diastole dell’amore, di fissarsi su uno dei

due atteggiamenti, inaridendo il movimento e fissandolo

su di noi. È il pericolo e la tentazione, che sono possibili

in quanto, dietro a essi, sorge l’illusione di renderci potenti

e grandi, potendo finalmente gestire uno o l’altro degli

atteggiamenti.

È la tentazione di renderci padroni di questo respi ro

dell’amore; ma quando questa tentazione la assecondiamo,

succede che l’illusione cade, e noi rimaniamo con un

amore che niente altro è che la morte.

Quante persone, anche oggi, si fissano in uno dei due

atteggiamenti e non accettano il respiro dell’a more!

Aprirsi... è il primo atteggiamento, che ci porta ad illuderci

di poter essere in grado di fare questo e quello, di

arrivare di qua e di là, di avere la tal cosa e di raggiungere

la tale meta che ci si è proposta... Aprirsi e fissarsi nell’apertura

significa però anche scoprire, a poco a poco,

l’illusione di una attività e di un atteggiamento sempre più

superficiale, che manca di una base, di radici, di fondamenta...

e che, quindi, prima o poi cade. È morire nelle

abitudini del fare, nell’esaurirsi nelle attività, che pure

consideriamo ottime, nella spinta che non ha più senso,

nel procedere che non ha più meta e sostegno.

Morire, illudendosi in una apertura esteriore, che non

corrisponde più, alla fine, con ciò che siamo, e che non

possiede più la fonte della vita: l’amore. Chiudersi... è

l’altro atteggiamento, che, raccogliendosi, sottolinea il

pericolo di rimanere nella chiusura, in quel dolce “io”, che

sentiamo come il riferimento per una vita comoda e piacevole.

Il pericolo di racchiuderci in quel movimento di

discesa in noi stessi, che avrebbe poi richiesto lo slancio

verso qualcosa di più grande che noi stessi. Chiudersi può

significare, ancora, la scelta del proprio “io” come una

realtà assoluta, attorno alla quale porre un muro di difesa,

per poter vivere nel modo che voglio io ciò che sono. È

un’illusione che si svela come tale là, dove quel muro

comincia a stringere su di noi e ad impedirci di andare più

al di là del muro; è là dove sentiamo soffocate le esigenze

che dal profondo dell’”io” emergono come ricerca di un

senso più grande, e si incontrano con il no che poniamo a

noi stessi. E allora, l’illusione cade, facendoci scoprire che

quello che noi avevamo e gestivamo in prima per sona non

era affatto “amore”.

Aprirsi e chiudersi, questi due atteggiamenti, vissuti

insieme, come ricerca di un senso più profondo che solo

l’amore ci può dare, attraverso proprio i suddetti atteggiamenti,

ci fa scoprire, allora, che ognuno di noi non solo può

respirare amore, ma ha bisogno che questo amore cresca,

reso vivo dalla presenza dell’ossigeno vitale che è la condi -

zione essenziale perché poi avvengano i due movimenti:

quell’ossigeno che è Dio. Allora, aprire e chiudere, non

sono due realtà che ci lasciano tali e quali, ma che fanno

crescere la mente, il cuore e l’anima, cioè la vita stessa,

progressivamente e in un modo mai finito, verso Dio, che

nel suo incontrarci, ci offre l’ossigeno dell’amore.

Annunciare, oggi, nel nostro mondo, che Dio ci ama,

appare uno sforzo che trova sempre meno rispondenza;

per la mentalità dell’uomo di oggi, l’annuncio cristiano

può essere considerato un messaggio infantile e sempre

meno collegato alla vita. E, in effetti, porre un annuncio

fatto per abitudine, anche se pare possa andare bene, oggi

ha sempre meno significato.

Secondo la normale mentalità anche cristiana, annunciare

il Vangelo significa, come ormai asso dato, porre le

strutture e le realtà che occorrono perché il messaggio si

propaghi. Ma oggi, non può più essere così. L’annuncio

del messaggio, fatto una volta, all’ini zio, richiede di essere

ripreso e riformulato, secondo gli atteggiamenti nuovi

della vita. Non che il Vangelo ora cambi e dica altre cose...

Ma cambia la mentalità dell’annuncio: non l’informazione,

l’istruzione, ma occorre soprattutto il fare esperienza

del Vangelo, di questo messaggio. Il cambiamento del

mondo, profondo e continuo, è il segno dei tempi che

richiede al messaggio cristiano di essere incarnato e vissuto

come una esperienza. L’annuncio è già stato fatto... Ora

però occorre riscoprire la validità di esso nell’esperienza

umana. In questo senso, il cristiano è il primo ad essere

chiamato in causa non tanto come colui che deve annunciare

il Vangelo, ma come colui che è invitato, ora, a riscoprirlo

per se stesso in modo nuovo, per poterlo annunciare

poi come una novità.

Il primo destinatario del messaggio del Vangelo è il

cristiano; è lui che è invitato a riscoprire il messaggio

annunciatogli un tempo, al momento del suo Battesimo, e

poi lasciato andare un poco e sempre più alla deriva. È il

cristiano stesso al quale occorre sia rievangelizzato il

Vangelo come una realtà per la vita, e non semplicemente

di etichetta o di abitudine. In questo senso, il cristiano è il

primo destinatario di questa urgente evangelizzazione.

Andare alle genti lontane... Certo, che è l’annuncio che

resta il fondamentale, come sempre; ma oggi, questa spinta

si sta esaurendo proprio perché manca la riscoperta del

Vangelo come una novità e una concretezza sempre più

profonda. E allora, occorre riprendere in mano il Vangelo

e lasciarsi evangelizzare, proprio mentre il Signore ci

chiama ad essere anche degli inviati. L’essere missionari

alle genti diventa poi il segno concreto di questa presa di

coscienza in noi della realtà del Vangelo, la realtà dell’amore,

che porta l’annuncio ai lontani...

Ma questo sarà efficace soltanto dopo la riscoperta che

i primi ad essere lontani dal Vangelo, bisogno si quindi dell’annuncio,

siamo noi, nel nostro cuore che si intorpidisce

nelle cose del mondo e negli egoismi umani.

Dando per scontato il messaggio dell’amore, quel lo di

Gesù, è venuta sempre meno ogni conseguenza positiva

legata alla efficacia di esso; e così, tra i cristiani, ecco i

segni della crisi, derivante dal fatto di aver dimenticato di

recuperare l’amore come una realtà significativa: crisi dell’identità

del cri stiano, perdita delle vocazioni, esaurimento

della spinta missionaria, del senso di Dio, sempre meno

pratica e convinzione nella fede... E così via.

L’evangelizzazione diventa efficace e feconda solo se

non avviene a senso unico: non solo il cristiano che porta

il Vangelo agli altri, ma che porta, nello stesso tempo, su

di sé il Vangelo come una realtà per la propria vita.

Il cristiano di oggi è spinto abbastanza all’opera verso

gli altri, anche se spesso è una spinta suggerita non dall’amore,

ma più che tutto dall’amicizia, dalla compassione,

dal bisogno anche di quietare il rimorso della coscienza;

ma ciò che ancora il cristiano non attua è il lasciar evangelizzare

se stesso, fino in fondo, da questo annuncio del

Vangelo, che non si può mai dire finito.

Il cristiano è divenuto sempre meno il testimone dell’amore,

mentre sempre più si considera l’uomo onesto,

che non fa del male, che porta amicizia, aiuto, collaborazione...

Uno come tanti degli uomini onesti, ma nulla più.

Il messaggio da privilegiare, quello dell’amore, sfugge

sempre più, anche se appare ancora nelle parole dei predicatori,

nelle preghiere dei cristiani, nei programmi delle

parrocchie... Ma, della vita dell’amore, traspare sempre

meno il fascino e la bellezza; e di questa carenza, si notano

i frutti sempre più scarni.

Recuperare la spinta missionaria verso il cristiano...

Sembrerebbe una realtà inutile, dato che viene spontaneo

dire: ma il cristiano ha già ricevuto il messaggio del

Vangelo; ma proprio qui emerge il pericolo, che l’abbia

anche già dimenticato.

Recuperare il “mandato”, il comandamento dell’a more,

come una situazione da rivivere da parte del cristiano stesso,

appare la cosa più urgente, ora, perché si possa poi

rivedere nella vita quel messaggio di amore, che, rimanendo

solo nelle parole, o fermo alle realtà dell’uomo, rischia

di essere velato e tenuto nascosto a chiunque, oggi, si

senta, nella coscienza, bisognoso di qualcosa di grande. E

ogni uomo cerca questo amore, questa realtà che, oggi,

proclamata dai cristiani, appare sempre meno nella loro

testimonianza; e allora, ecco che ci si volge altrove, in una

ricerca disperata che spesso sfocia in forme erronee: sètte

e gruppi religiosi con le più assurde richieste e regole...

Questa ricerca alla quale ci si volge perché di fronte si trovano

cristiani poco significativi nel trasmettere il messaggio dell’amore.

Di questi sviamenti, forse il cristiano non ne ha un po’

la colpa? Il messaggio dell’amore proposto dalle parole di

Gesù ha come caratteristica la gioia; già, ma dov’è finita

questa realtà nella testimonianza del cristiano?

Pare che la burocrazia e l’attenzione per le cose “più

importanti” abbia soffocato questa caratteristica tanto

essenziale. Anche la fede pare ridotta ad un insieme di

curri coli burocratici e abitudinari di fronte ai sacra menti

da ricevere o alle fasi della vita da sigillare: battesimo,

matrimonio, morte. La mancanza del fascino della testimonianza

appare sempre più evidente, in quelle realtà che

si sono ormai spesso ridotte ad essere “le cose di Dio”,

gestite dall’uomo.

L’uomo di oggi fatica a cercare, a distinguere nella

ricerca di ciò che egli sente esserci nella vita come un

qualcosa di grande, ciò che la fede offre.

Il messaggio cristiano, sempre più si affianca, nella sua

validità e considerazione, ad ogni altro messaggio che nel

mondo cerca di farsi strada; è sempre meno considerato

come la realtà che viene incontro alle attese dell’uomo di

oggi, che sempre cerca una realtà più grande e più significativa

di quelle che le sue mani e la sua mente possano

forgiare. Ma ora, che anche la fede ha perso notevolmente

la sua caratteristica fondamentale dell’amore portatore

di gioia e di senso profondo alla vita del l’uomo, non resta

che cercare di arrangiarsi, scegliendo un’illusione che non

ti crei troppe complicazioni e non vada incontro a troppe

difficoltà.

Spesso, allora, l’uomo di oggi, sa di sbagliare, nelle sue

scelte; sa che esse non gli potranno mai dare la risposta

alle esigenze della sua natura, fatto per la grandezza e non

per la limitatezza delle cose umane.

Ma sa, altrettanto, che quella scelta, pur fallace, non può

essere rinnegata nel nome di una fede che non da gioia, che

non da senso, che sempre meno rientra nella vita. Sa di sbagliare,

ma preferisce questo sbaglio che lo fa essere uomo,

piuttosto che lasciarsi suggerire la fede in un Dio che non

da gioia, che non da senso, che nulla c’entra con il fatto di

vivere. Ma... Dio non è così! Ci viene spontanea quest’osservazione.

Ma essa è solo teorica... Chi ci dice che Dio

vera mente non è così? Che Lui è la fonte della vita?

Bastano forse i bei discorsi e le belle parole a dirlo? No.

Non è questo il fondamento del credere; occorre che la

gioia traspaia, nella vita dei cristiani, di questi “Cristi”,

che spesso rinnegano, nella vita, ciò che a parole viene

additato a modello e ad esempio. Non la testimonianza

della perfezione... No, per carità! Non questa occorre

all’uomo di oggi; ma, la testimonianza dell’amore, della

gioia e di quella possibilità di senso alla vita, che si renda

effettivamente possibile, nell’esempio gioioso del seguace

di Gesù. A questo, l’uomo di oggi è richiamato; qui, sì, che

può dissetarsi, calmando quella sete di verità, che, se non

è ripagata, può diventare sempre più sor gente di pazzia e

di non senso. Il cristiano, con la gioia che porta in sé, è la

fontana dell’uomo che anche oggi è assetato dell’acqua

della verità. Il più grande e primo dei comandamenti,

quello dell’Amore, richiama l’ascoltatore a porre la scelta

verso la vita, ad aprire in sé, rompendo i confini dell’orizzonte

della definizione, una nuova dimensione: quella

della esperienza.

Per questo, se appare anche ora impossibile definire

l’amore proposto da Gesù, perché significherebbe farlo

“finire”, porvi una fine, si apre anche la grande possibilità

per il cristiano di recuperare pienamente se stesso e poi

essere una occasione di recupero per l’uomo di oggi:

lasciarsi evangelizza re da questa proposta di Gesù; lasciare

che questo amore entri nella vita non per finirvi dentro,

ma per orientarla a quella nuova e sorprendente dimensione

che è opera dell’amore.

Questo è il primo e il più grande dei comanda menti;

questa è anche la prima urgenza per il cri stiano di oggi;

proprio questo è ciò che l’uomo chiede a chi si dichiara

testimone di Cristo.

La missione del cristiano, se da un lato pare alla fine, di

fronte alle incomprensioni del mondo d’oggi, nello stesso

tempo, partendo dall’esperienza dell’amore, segna l’inizio

di nuove realtà, che l’amore produrrà ogni volta che un

uomo, seguendo la proposta dell’amore di Gesù, si lascerà

affascinare da questo Amore.

Chiaramente, a questo punto, appare che la fine o l’ini -

zio dell’amore in te stesso non è dovuto alle mie o alle tue

parole, ma a quelle che nella vita testimonieranno un

amore che sta morendo; o una realtà nuova per la quale

vale la pena vivere e dare senso a tutto: è l’amore del

Vangelo.